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GLI KSHETRAM E LA PRATICA DELL’HATHA YOGA

Dic 9, 2019 | asana

di ANTONELLA FILIPPONE

La parola KHESTRA significa “campo, sfera di attività”, ma anche “corpo” inteso come campo di esperienza o di azione (Glossario di Sanscrito, Mother Sai Publications). Lo KHESTRAM, nell’ambito letterario e filosofico, è la vasta distesa di terra (una pianura vicina a Hastināpura, l’attuale New Delhi), scenario di battaglia dei Kuru, cioè degli eserciti comandati dai Pāndava e dai Kaurana, di cui si narra nel poema epico del Mahābhārata. Questo termine, quindi, ha a che fare con una dimensione materiale, visibile, identificabile, che possiamo conoscere e su cui possiamo agire. Nell’iconografia tradizionale, lo khestram ha la forma di un quadrato, come una scacchiera, suddivisibile al suo interno in altrettanti piccoli riquadri già determinati. Gli uomini, appartenenti ai quattro varna (colori, caste sociali) si dispongono nelle caselle della scacchiera, a seconda dell’ampiezza dei propri orizzonti e dei propri ruoli. Così, il filosofo (brahmano) si potrà muovere in un quadrato composto da 81 caselle; il guerriero (kshatriya) si muoverà in una scacchiera di 64 riquadri; il mercante (vashya) ne avrà a disposizione 49; il servo (shudra) rimarrà confinato nel suo unico piccolo quadrato.

brahamano kshatriya vashya shudra
comprensione maggiore della Realtà

Ognuno vivrà nella propria forma, spesso senza scoprire gli altri spazi a disposizione, anche all’interno della sua stessa scacchiera, fino a quando non riuscirà a praticare lo yoga della potenza che lo libererà dalle sue prigioni e dai suoi ostacoli. Fra le abilità sviluppate dallo hatha yoga, vi è senza dubbio quella della consapevolezza, dell’attenzione (jagrat) che portano a moltiplicare i nostri spazi, cioè a percepire tutta la scacchiera e ad abbandonare i condizionamenti che ci imprigionano nei vari ruoli.

Nella pratica dello yoga, seguendo questi principi, andiamo a fortificare e ad affinare una percezione più completa e profonda del nostro corpo (lo khestra), riuscendo a unire via via elementi ed aspetti prima sconosciuti, estendendo quindi le nostre potenzialità. Queste ci consentiranno di sentire e di considerare il corpo stesso come un’entità unica (il nostro quadrato del sole).

Eventualmente, dopo questa prima evoluzione, saremo pronti a superare lo stato materiale per scalare la Montagna Sacra (Monte Meru): incontreremo, nel percorso di presa di coscienza (e non più solo di consapevolezza, come attuato precedentemente) i 6 chakra che ci faranno illuminare dall’alto la condizione limitante in cui eravamo rinchiusi.

LA PRATICA

Gli khetram identificabili nel tronco sono cinque: ne presentiamo due che riguardano Manipura Khestram e Anahata Kshetram. Ovviamente queste pratiche saranno precedute da alcune fasi di preparazione e di purificazione respiratoria.

MANIPURA KSHETRAM (nella zona dell’ombelico e nella seconda lombare)

  • SETHUASANA (per favorire la forza del diaframma sulla mobilità lombare)
  1. Nella fase dinamica, inspirando portiamo in alto il bacino, utilizzando la spinta dei piedi; espirando, riportiamo la schiena a terra, appoggiando le vertebre una dopo l’altra.
  1. Nella fase statica, una volta che siamo riusciti a salire nella posizione con una respirazione adeguata, manteniamo sethuasana con l’aiuto delle mani sotto la zona lombare, percependo il movimento della respirazione sulla colonna vertebrale.
  • DHARMIKASANA (per favorire, fra l’altro, la consapevolezza dell’addome nella respirazione e l’allungamento della colonna)

Nella posizione (con le ginocchia divaricate), dovremmo percepire lo spazio dell’addome ampio e in movimento e come questo si possa riflettere anche sulla colonna. Nella fase di rientro, comminando indietro con le mani, cerchiamo di sentire come adesso il respiro porti una nuova linfa in questa zona del corpo.

ANAHATA KSHETRAM (al centro del petto e fra le scapole)

  • MARYCHIASANA (per favorire la mobilità della gabbia toracica e la consapevolezza del movimento respiratorio delle scapole e del dorso)

Nella fase statica (per esempio, nella variante con una gamba allungata) è importante la posizione delle braccia che allargano la zona posteriore della schiena, nel dorso: lì dovremmo portare la nostra attenzione, osservando il movimento respiratorio del torace.

VRITTI ARDHA BHUJANGASANA (per distendere la colonna, sciogliere le anche e le spalle, percepire la mobilità respiratoria del torace)

  1. Nella prima variante, l’inspirazione, aprendo il torace, porta il braccio in apertura. Nell’espirazione, avremo cura di non lasciare questa sensazione, riportando la mano a terra.
  1. Nella seconda variante (in cui le mani si intrecciano dietro la schiena) cerchiamo di focalizzare la nostra attenzione sempre sul torace che si apre naturalmente.

Quando lasceremo la posizione, sedendoci in Vajrasana, andremo a sentire come tutta l’area anteriore e posteriore del torace si sia rivitalizzata e come il respiro vi fluisca naturalmente e profondamente.

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