di Paola Cosolo Marangon
“La necessità di individuazione è una necessità naturale; infatti la inibizione dell’individuazione da parte di un preponderante o esclusivo adeguamento ai principi della collettività significa una compromissione dell’attività vitale individuale “
C.G.Jung, Tipi psicologici, Newton Compton editori, Roma, 1993, pag361
Jung pone una questione essenziale nella maturazione della consapevolezza di sé, c’è una necessità di individuazione che risulta sempre più difficile anche se assolutamente necessaria. Non essere consapevoli di un proprio sé, non sapere stare dentro la propria pelle e la propria storia, spesso cercando di fuggire per aderire a mondi diversi e “altri”, è una componente sociale e umana ricorrente negli ultimi anni.
Come ci sollecita lo psicanalista, però, questa individuazione è fondamentale e il percorso, la pratica yoga, può aiutare a raggiungere questo stato i consapevolezza del sé.
PINO O ABETE?
La metafora che ci è stata proposta del pino, come albero che sa bastare a se stesso, fa il suo effetto: si tratta di un albero imponente che tende verso il cielo e non ha paura della solitudine. L’edera non lo attacca perché i suoi aghi sono acidi e il terreno attorno diventa impossibile per la vita di qualsiasi altra pianta.
A dirla tutta io amo di più gli abeti, che tutto sommato sanno stare da soli e non vengono infestati, ma che sono anche più capaci di stare in gruppo, di condividere uno spazio, intrecciando le loro radici per sostenersi a vicenda. L’abete è più comunitario, il pino un po’ più narcisista. E poi gli abeti appartengono a tradizioni nordiche più affini al mio essere. Ma questa è un’altra storia.
Alberi e preferenze a parte, l’archetipo del pino richiama 3 punti fondamentali del saper/poter costruire il proprio posto nel mondo.
Nel momento in cui si riesce a trovare il proprio radicamento, il fulcro del proprio essere e la capacità di scegliere/orientare i propri pensieri, penso si possa dire di essere molto vicini alla realizzazione di un obiettivo fondamentale: essere sé stessi.
CONSAPEVOLI DEL PROPRIO STARE AL MONDO
Essere sé stessi, consapevoli del proprio saper stare al mondo, senza cedere all’impulso di seguire la marea come un gruppo di pesciolini trascinati dalla corrente, è una bella sfida.
Il respiro ci rende consapevoli di un corpo che trova il suo radicamento, per essere sempre presenti nel qui e ora, capaci di affrontare tutto ciò che la vita ci pone davanti.
La Shakti è quella potenza/forza che rende capaci di stare nella vita a testa alta, sapendo gestire la propria emotività, senza paura di incappare in percorsi tortuosi.
Nella pratica, dovremmo indirizzarci verso la possibilità di trovare 3 punti base su cui orientare la mente per attivare il prana. Come abbiamo visto nella proposta legata al pino, orientare il respiro e l’intenzione dell’asana verso la base, con il radicamento del bacino, con l’appoggio fondante a terra, è un punto di partenza che non deve appartenere solo al tempo che spendiamo nel tappetino.
Se riesco a considerare sempre il mio radicamento, la mia appartenenza alla terra che mi sostiene, e sulla quale so di poter contare, difficilmente avverrà un’individuazione certa: è necessario, piuttosto, un processo conscio di differenziazione, è necessaria appunto l’individuazione.
Il sostegno della terra è la prima parte per questo percorso che può farci dire “io ci sono, sono forte, credo in me stessa”.
Il secondo punto saliente è la creazione del kanda dell’addome: anche qui abbiamo la necessità di sentire che c’è un vuoto e un pieno, un fulcro centrale che ha la facoltà di farci sentire centrati. Riconoscere il centro del proprio essere è sapere di poter stare dentro un equilibrio che non è virtuale ma reale: protagonista è il respiro portato giù fino al perineo e poi fatto concentrare all’interno dell’addome, dove si riscontra un calore che nasce da dentro, fornisce forza e potenza. Una forma di Shakti che va a confermare un radicamento e un desiderio di sostenere un IO in maniera profonda.
L’ ultimo passaggio è salire per confermare la capacità di stare dentro un mondo dei pensieri, espandere il torace, perfezionare l’apertura del costato e consentire al corpo di rispondere alla possibilità di ampliare i propri orizzonti.
TRE SPAZI VUOTI
A quel punto la proposta della pratica è generare tre spazi vuoti. Senza il pieno non si può assaporare e concepire il vuoto. Senza essere passati per la consapevolezza di un pieno non si può creare il vuoto.
Dopo aver sperimentato il pieno arriva il momento per una consapevolezza mentale, una centratura che si allinea fino a ritrovare, grazie all’archetipo del pino, il sottile significato di un asse. Tale asse aiuta a stare dentro una sintonia globale, a sviluppare Merudanda, in cui riconosciamo la saldezza e la profondità, la centratura e la sicurezza. L’archetipo del pino, nella pratica dello yoga, può condurre a percepirci individui, riconoscendoci diversi ma connessi con i propri bisogni e con la propria umanità; questa pratica dà la capacità di nutrire psichicamente la vita stessa, sentendoci parte di un Tutto che trova il suo significato nel riconoscimento della Pace e dell’armonia.